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Alla ricerca di “un paese migliore”

Da L'Araldo della Scienza Cristiana - 2 settembre 2020

Originariamente pubblicato sul numero di dicembre 2019 de The Christian Science Journal


Scoprire il meraviglioso universo spirituale creato da Dio - nostra casa di origine e nostra unica dimora reale - è un po’ come vivere l’esperienza di un profugo nello scenario umano. Questo vuol dire che dobbiamo tutti lasciarci alle spalle il senso fallibile di un mero attaccamento nazionale e cercare la nostra casa, più pura e più stabile, in Dio.

Ciò non significa rinunciare ad amare il nostro paese o traslocare all’estero. Significa invece che dobbiamo ricercare e trovare una profonda fedeltà spirituale a quel senso stabile di casa nostra che va oltre il senso umano di appartenenza a una nazione.

Nel primo Libro della Bibbia si legge di come Dio inizi a dare tale insegnamento ad Abramo: “Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò” (Genesi 12:1). Questa ricerca di una dimora creata in modo divino risulta poi nell’effettivo abbandono della sua casa materiale per un’altra, ma simbolizza la trasformazione spirituale che portò Abramo ad assumere un nuovo nome: Abrahamo.

Isacco, figlio di Abrahamo, continua la ricerca di questo nuovo paese, così come suo figlio Giacobbe. Dopo aver lottato con il senso mortale di vita, la vita di Giacobbe cambia radicalmente quando vede Dio “faccia a faccia”. Quest’esperienza lo trasforma così tanto che anche lui assume un nuovo nome: Israele. E dalla susseguente riconciliazione con suo fratello, risulta evidente che la comprensione più elevata che ha ora Giacobbe ha un impatto in ogni aspetto della sua vita (vedi Genesi da 32:24 a 33:11).

Capire qualcosa di Dio, Spirito, rimuove le limitazioni di una visione ristretta del mondo, caratterizzata da materialità ed egoismo, e permette a ciascuno di comprendere la propria eterna unità con Dio, fissata non in un luogo fisico, ma per sempre nell’Amore che non ha confini. Tutti noi dovremo attraversare, in un modo o nell'altro, la medesima esperienza vissuta da Abramo/Abrahamo e Giacobbe/Israele. Dovremo, cioè, affrontare la crassa corruzione di un senso mortale di esistenza e trovare la nostra casa in Dio.

Questa casa, questo “paese” divino, non è un luogo fisico definito in termini etnici, geografici, culturali, linguistici o in altri termini materiali. È interamente spirituale, e la troveremo, e aiuteremo gli altri a trovarla, tramite la dimostrazione del potere trasformativo di Dio, l’Amore divino, nella nostra vita—praticando qualità come la pazienza, l’integrità e la giustizia, che sono le qualità di una casa amorevole e di un paese buono. Questa casa, questo paese spirituale, è il regno dei cieli che Cristo Gesù ha dimostrato nella meravigliosa grandiosità della guarigione cristiana e che Mary Baker Eddy, la Scopritrice e Fondatrice della Scienza divina di Cristo, ha articolato in modo pratico.

Dimostrare che il regno dei cieli è la nostra unica e reale dimora, così come di tutto il genere umano, significa sottoporsi alla trasformazione spirituale che rivela la vera natura di tutti i figli di Dio come idee spirituali di Dio completamente sviluppate. Ciò vuol dire vedere nei nostri fratelli e sorelle, e in noi stessi, qui sulla terra, quello che Giacobbe vide in suo fratello: “Io ho veduto la tua faccia, come uno vede la faccia di Dio” (Genesi 33:10). Significa rifiutare le impressioni fallaci che i sensi materiali ci comunicano costantemente riguardo all’umanità, ovvero che alcune persone, magari noi stessi, sono immeritevoli dell’amore di Dio, sono incapaci di vedere o di raggiungere il regno celeste, sono state create in qualche misura inadeguate, per non essere mai pienamente abbracciate da Dio. 

Essere cittadini del “paese” spirituale di Dio significa riflettere la luce che Dio rivela perennemente all’umanità per mezzo del Cristo eterno, ovvero la vera idea della filialità di ciascuno di noi con Dio. Questo Cristo ci guida perpetuamente verso la comprensione dell’amore eterno di Dio, nostra dimora perpetua.

Il Cristo ci guida costantemente verso la comprensione dell’amore eterno di Dio, nostra dimora perenne.

Si può discernere che la comprensione mediante il Cristo può essere applicata direttamente alle notizie che sentiamo, come quelle su deprivazione e desideri di milioni di persone che si ritrovano oggi, potenzialmente o già di fatto, nella condizione di profughi. Mary Baker Eddy presenta un utile punto di vista su come valutare la questione dei profughi già agli albori del ventesimo secolo, periodo in cui tanti profughi stavano sbarcando negli Stati Uniti alla ricerca di un paese migliore dove lavorare e crescere i propri figli. Parlando a proposito di una patria “migliore, cioè una celeste” (Ebrei 11:16), porta a un livello più alto il concetto di patria dei suoi ascoltatori e descrive il tipo di benvenuto che Dio riserva a tutti i Suoi figli e il ruolo che tutti noi possiamo svolgere per estendere quel tipo di benvenuto mediante la dimostrazione dell’amore infinito di Dio: “Il nostro Padre celeste non ha mai destinato i mortali che ricercano un paese migliore a vagare da delusi viaggiatori sulle sponde del tempo, sballottati a destra e a manca dalle circostanze avverse, inevitabilmente soggetti al peccato, alla malattia e alla morte. L’Amor divino aspetta e opera per la salvezza del genere umano—e attende con autorità e benvenuto, grazia e gloria, gli affaticati della terra e gli oppressi che trovano e indicano il cammino per il cielo” (Message to The Mother Church for 1902, pag. 11).

Ogni figlio di Dio, ognuno di noi, ogni profugo di cui parlano le notizie, indipendentemente dal suo paese di nascita o dal paese in cui vive, è veramente un riflesso della bellezza e dell’intelligenza infinite di Dio. In quanto mortali, potremmo letteralmente essere dei profughi, potremmo osservare altre persone in tale condizione oppure potremmo semplicemente sentire la necessità per noi stessi di dare un senso migliore al concetto di casa e di ciò che ci circonda. In tutti i casi, Dio è qui, a darci una visione più chiara della nostra attuale identità immortale e della dimora spirituale, che appartengono a tutta l’umanità. Questa casa è la consapevolezza ed espressione delle meravigliose qualità spirituali che riflettiamo da Dio—tenerezza, discernimento e saggezza che sono il diritto di nascita spirituale di ciascuno di noi. Mettendo in pratica le qualità di Dio, nella vita quotidiana e nelle interazioni con il prossimo, gettiamo le fondamenta per rivendicare una casa celeste e permanente per tutti coloro che ci circondano nell’amore eterno di Dio. A volte può essere naturale, per una persona o per una famiglia, voler cambiare le proprie condizioni di vita e traslocare quindi in un altro paese. L’amore di Dio non diminuisce minimamente per chi ricerca un paese migliore—e quanto di più siamo noi stessi sostenuti nel nostro viaggio verso lo Spirito! Scrive con tenerezza Geremia a proposito del ritorno a Sion dei figli di Israele: “Ecco, io li riconduco dal paese del settentrione, e li raccolgo dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella in doglie di parto: una gran moltitudine, che ritorna qua. Vengono piangenti; li conduco supplichevoli; li meno ai torrenti d’acqua, per una via diritta dove non inciamperanno” (Geremia 31:8,9).

Mentre scrivo, sono seduta nella lobby di un hotel nel sud della Spagna e attorno ci sono persone che parlano non soltanto lo spagnolo, ma anche il francese, l’inglese, il norvegese e l’arabo. Sono vestite in modi molto diversi, alcune coperte dalla testa ai piedi, altre sono meno vestite (fa davvero caldo!). In sottofondo la TV sta trasmettendo i tentativi dei soccorritori di salvare i profughi che stanno attraversando il Mar Mediterraneo per fuggire dalle disperate condizioni di vita dei loro paesi. Ignoro le specifiche difficoltà che le persone qui attorno a me hanno dovuto affrontare nella vita, ma so per certo che ciascuna di loro, ciascuno di noi, è amato da Dio e fa parte della Sua famiglia infinita—ognuno come idea perfetta dell’infinito Amore divino.

C’è una storia bellissima che ero solita leggere a mia figlia quand’era piccola. Si intitola Harold and the Purple Crayon (Harold e il pastello viola. n.d.t.) di Crockett Johnson e racconta di un ragazzino che sta cercando la sua casa. Dopo molto cercare, si rende conto che la casa era sempre stata con lui per tutto il tempo. Era il punto in cui la luna risplendeva di notte attraverso la finestra della sua camera da letto e non doveva far altro che disegnare la finestra e la luna con il suo pastello color porpora.

Ovunque viviamo, ovunque l’umanità desideri davvero essere, casa nostra è dove Dio risplende.

La missione de l’Araldo

L’Araldo della Scienza Cristiana fu fondato nel 1903 da Mary Baker Eddy. Il suo scopo è di “proclamare l’attività e la disponibilità universali della Verità”. La definizione di “araldo”, come indicata in un dizionario: “colui che avverte — un messaggero mandato avanti per annunciare l’approssimarsi di ciò che segue”, dà un significato particolare al nome Araldo ed inoltre indica il nostro dovere, il dovere di ognuno di noi, di vedere che i nostri Araldi assolvano alla loro responsabilità, una responsabilità inseparabile dal Cristo e annunciata per la prima volta da Gesù (Marco 16:15): “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura”.

Mary Sands Lee, Christian Science Sentinel, 7 luglio 1956

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