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La pratica dimostra che siete perfetti

La mia esperienza negli anni mi ha spinto a riconsiderare il concetto di pratica sotto una luce completamente nuova.

Da L'Araldo della Scienza Cristiana - 23 gennaio 2024

Originariamente pubblicato sul numero dell’11 novembre 2023 del Christian Science Sentinel


Quante volte avrete sentito dire che «la pratica rende perfetti?» Alzarsi presto, studiare duramente, lavorare fino a tardi, esercitarsi di più e per più tempo, e poi ricominciare. Ci dicono che questo è l’unico modo per migliorare. E se l’approccio giusto fosse opposto? 

Mentre è vero, come dice Mary Baker Eddy, «che non si eccelle senza sforzo teso verso una data direzione» (Scienza e Salute con Chiave delle Scritture, pag. 457), di fatto ciò che rende possibile il progresso e che addirittura lo accelera è un regime spirituale. Gesù dichiarò: «Se avete fede quanto un granel di senape, direte a questo monte: "Spostati da qui a là", ed esso si sposterà; e niente vi sarà impossibile» (Matteo 17:20). Non disse che saremmo stati in grado di spostare un monte soltanto dopo migliaia di badilate a spostar terra e dopo esserci diplomati in spostamento di collinette. Ciò che serve è la fede — fede quanto un granel di senape. 

Gesù disse anche che «il Figlio non può far nulla da se stesso, se non quello che vede fare dal Padre; le cose infatti che fa il Padre, le fa ugualmente anche il Figlio» (Giovanni 5:19). È come se Gesù affermasse che il figlio di Dio non può alzare nemmeno un dito o muovere un muscolo — ovvero non può fare una singola cosa — che il suo Padre-Madre Dio non stia già facendo. Un’implicazione di tale affermazione è che qualunque cosa faccia Dio la possiamo fare anche noi. L’Apostolo Paolo lo sapeva e infatti dichiarò: «Io posso ogni cosa in Cristo [Verità] che mi fortifica» (Filippesi 4:13).

È credenza comune che, dal momento in cui si viene al mondo, la vita è una battaglia continua per acquisire le capacità necessarie al successo. Un problema di questa credenza è che potremmo considerare le capacità che sviluppiamo come il prodotto del nostro duro lavoro. E non appena dichiariamo di possederle, ci esponiamo ad accettare la loro possibile perdita, che sia per un infortunio, un incidente, l’invecchiamento o altro. 

Questo modello si fonda sulla premessa che siamo dei mortali dotati di facoltà limitate e che tali limitazioni potranno essere superate soltanto mediante lo sforzo umano. Eppure Gesù ci ha insegnato e mostrato che lui e suo Padre-Madre Dio erano inseparabili e, di logica conseguenza, che anche noi e lo stesso Padre-Madre Dio siamo inseparabili. Perché se l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, come leggiamo nel primo libro della Genesi, non possiamo fare a meno di riflettere tutto ciò che Dio è, ciò che fa e conosce, perché è nostro per riflesso. I talenti che esprimiamo non sono di nostra proprietà e non possiamo farne ciò che vogliamo. Li abbiamo perché riflettiamo Dio, che ne è la sorgente, dunque non possiamo mai perderli. 

Mary Baker Eddy scoprì la Scienza che spiega tutto questo, e la denominò Scienza Cristiana. In Scienza e Salute scrive: «Le capacità umane si estendono e si perfezionano nella proporzione in cui l'umanità giunge al vero concetto di uomo e di Dio» (pag. 258), e «La Scienza rivela la possibilità di conseguire tutto il bene e mette i mortali all'opera per scoprire ciò che Dio ha già fatto; ma la sfiducia nella propria capacità di raggiungere la bontà desiderata e di produrre risultati migliori e più elevati, spesso c'impedisce di mettere alla prova le nostre ali e rende certo l'insuccesso fin dall'inizio» (pag. 260). Quindi il nostro limite non è la mancanza di talento, ma una fiducia in Dio e nella nostra capacità di rifletterLo troppo debole. Quando comprendiamo meglio la nostra perfetta natura spirituale, a perfetta immagine e somiglianza di Dio, tutti i nostri talenti si rivelano.

Quando ero ragazzo, durante un corso invernale per scalatori, ci stavamo arrampicando su un ghiacciaio, quando udimmo delle urla. Guardai su e vidi un altro scalatore che cadeva giù dal fronte del ghiacciaio. La sua caduta si arrestò precariamente su di una piccola sporgenza del ghiacciaio. Non riusciva a muoversi e aveva chiaramente bisogno di aiuto. Fra tutti coloro che in quel momento si trovavano sul ghiacciaio, io ero l’unico in grado di raggiungerlo. Il tratto per arrivarci era però molto ripido e scivoloso — tecnicamente più difficile di qualsiasi arrampicata avessi mai fatto. 

Sapendo di non avere altra scelta, mi fermai un attimo e riconobbi che Dio mi stava guidando. Affermai che nessuno dei Suoi figli — né l’arrampicatore caduto, né io, né i miei compagni di cordata — poteva mai essere privato della Sua sollecitudine. E pregai per essere guidato a fare tutto quello che era necessario.

Non ero mai stato addestrato per le manovre tecniche e il tipo di soccorso richiesti. Ma nonostante la mia mancanza d’esperienza, ogni abilità necessaria era in mio possesso nel momento in cui mi serviva.

Alcuni scalatori più in alto mi gridavano istruzioni, e finalmente uno dei miei compagni di cordata mi raggiunse per darmi una mano. Poco dopo, mi stavo calando giù sul fronte del ghiacciaio a corda doppia, attaccato a una lettiga che una squadra di salvataggio ci aveva appena fornito. Passo dopo passo si aprì la via, finché ci mettemmo tutti in salvo.

Tornati alla base, la squadra di salvataggio mostrò il suo grande stupore quando tutti si resero conto che tutto quello che avevamo fatto sul ghiacciaio era da manuale, dall’evacuazione al soccorso infermieristico prestato allo scalatore. Pur senza l’addestramento normalmente ritenuto indispensabile, ero riuscito a fare la mia parte rispondendo umilmente alle direttive di Dio e mettendo a frutto quelle capacità che per riflesso erano mie. 

Nel corso degli anni, quest’esperienza ed altre ancora mi hanno indotto a rivedere il concetto di pratica sotto tutt’altra luce. Sto incominciando a capire che ogni ora dedicata alla pratica o allo studio, invece di essere un processo ripetitivo in cui le capacità acquisite vengono ad accumularsi strato dopo strato, è piuttosto un lavoro di scalpello sulle suggestioni di limitazione che celano il nostro vero essere in quanto espressione perfetta, capace e illimitata di Dio. È un processo di rimozione piuttosto che di accrescimento. 

Ogni libro che leggiamo, ogni giro di pista che facciamo, ogni sfida che superiamo rivela di più le qualità che sono sempre state nostre, sfogliando via le false suggestioni che il mondo ha costruito attorno a noi sin dalla nascita — come quelle di essere privi della genetica, dell’intelletto, della fisicità, della pazienza o dell’esperienza necessari per avere successo in una determinata impresa. Sono semplicemente delle imposizioni — non i nostri pensieri — e non sono delle realtà. Tenere sempre a mente il modello corretto di chi siamo libera il nostro vero potenziale e conferma che esistiamo esclusivamente per glorificare Dio e le qualità di cui Egli ci ha fornito. 

Può tale approccio eliminare la necessità di fare pratica, e in particolare di mettere in pratica la guarigione secondo il metodo della Scienza Cristiana? No, non finché non saremo costanti nel vedere noi stessi chiaramente sotto la luce che ci definisce come l’espressione illimitata e infinitamente capace di Dio. Ciò che invece viene eliminato è il fardello di ritenere di dover partire da zero, di essere lenti ad apprendere o di non riuscire a fare quello che abbiamo deciso a causa di qualche carenza nel nostro corredo genetico individuale. Scopriremo che non è la pratica che rende perfetti, al contrario la nostra perfezione in quanto riflessi di Dio ci incoraggia alla pratica che dimostra che questo è ciò che noi e gli altri siamo veramente.

Partire dal punto di vista secondo cui sappiamo di avere già tutte le qualità necessarie per eccellere, accelera il nostro progresso e rende più appagante il nostro cammino. Potremmo addirittura ritrovarci a spostare le montagne!

Ogni ora di pratica è un lavoro di scalpello sulle suggestioni di limitazione che celano il nostro vero essere in quanto espressione perfetta, capace e illimitata di Dio.

La missione de l’Araldo

L’Araldo della Scienza Cristiana fu fondato nel 1903 da Mary Baker Eddy. Il suo scopo è di “proclamare l’attività e la disponibilità universali della Verità”. La definizione di “araldo”, come indicata in un dizionario: “colui che avverte — un messaggero mandato avanti per annunciare l’approssimarsi di ciò che segue”, dà un significato particolare al nome Araldo ed inoltre indica il nostro dovere, il dovere di ognuno di noi, di vedere che i nostri Araldi assolvano alla loro responsabilità, una responsabilità inseparabile dal Cristo e annunciata per la prima volta da Gesù (Marco 16:15): “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura”.

Mary Sands Lee, Christian Science Sentinel, 7 luglio 1956

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