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Confidare nella fedeltà di Dio

Da L'Araldo della Scienza Cristiana - 19 settembre 2025

Originariamente pubblicato sul numero del 13 settembre 2010 del Christian Science Sentinel


L'ASPETTATIVA DEL BENE è un elemento importante della preghiera. Personaggi biblici come Abramo, Giacobbe, Mosè, Davide, Daniele e Cristo Gesù l'avevano certamente. Tutti loro amavano Dio e si rivolgevano a Lui. La Bibbia ci mostra quanto confidassero nel fatto che le loro preghiere avrebbero raggiunto Dio e che Lui le avrebbe esaudite. Conoscevano il loro Dio — la Sua onnipresenza e onnipotenza, il Suo amore inarrestabile — e devono aver lavorato parecchio per mantenere i loro pensieri vicini a Lui. Non sorprende che, nei momenti di difficoltà, si aspettassero e trovassero l'aiuto divino.

Prendete Davide. Si aspettava che Dio lo salvasse da Golia, e infatti disse: «L'Eterno che mi liberò dalla zampa del leone e dalla zampa dell'orso, mi libererà anche dalla mano di questo Filisteo» (I Samuele 17:37). E Dio lo fece.

Lo stesso vale per Daniele. Nella fossa dei leoni era convinto della sua incolumità, e infatti non venne ferito da quei leoni affamati «perché aveva confidato nel suo Dio» (Daniele 6:23). Credeva in Lui — non è fantastico? Daniele credeva così tanto nell'amore di Dio da riporre tutta la sua fiducia nel totale controllo di Dio, sia su di sé che sui leoni.

Nessuna aspettativa del bene era più grande di quella di Cristo Gesù. Non rinunciò mai al suo Dio — che sapeva essere la Vita dell'uomo — né alla sua preghiera. Anche quando il suo amico Lazzaro morì, Gesù pregò e si recò alla sua tomba, ringraziando innanzitutto Dio «che mi hai esaudito» (Giovanni 11:41). Per poi aggiungere: «Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre» (Giovanni 11:42). E Lazzaro uscì vivo dalla tomba.

Gesù ci ha insegnato ad avere la stessa aspettativa quando preghiamo, a credere che riceveremo ciò che chiediamo in preghiera. «Abbiate la fede di Dio!», disse Gesù (Marco 11:22).

Abbiate la fede di Dio. «Facile a dirsi per Gesù», sbottai anni fa in un periodo difficile. Ma cosa succede se vogliamo così tanto fidarci di Dio, così tanto aspettarci la guarigione, però il nostro approccio è dettato più dalla paura che dalla fede, più dal dubbio che dalla certezza, più dalla disperazione che dalla devozione, e ci sentiamo lontani da Dio? Siamo allora in un vicolo cieco, senza speranza e senza aiuto? Mai.

La preghiera, che provenga dalla vetta più alta o dal baratro più profondo, è il nostro punto d'incontro con Dio. È il modo in cui Lo ascoltiamo. Un Dio che è Amore (e Dio lo è!) ci viene incontro proprio lì dove ci troviamo, nel momento del bisogno per quanto sia grande e al punto della nostra comprensione per quanto sia piccola — e ci eleva.

Ho imparato che non è mai né troppo presto né troppo tardi per renderci conto che in effetti abbiamo fede in Dio, e spesso lo scopriamo proprio nelle circostanze più estreme. Non dobbiamo sforzarci di crearla. La fede «è il dono di Dio» (Efesini 2:8). E quando la nostra preghiera inizia con ciò che sappiamo di Dio (anche se solo una cosa, «Dio è amore» per esempio) e abbracciamo tale cosa, la custodiamo e la amiamo ardentemente, allora essa cresce sempre di più e soffoca il dubbio e la paura.

Se ci fermiamo a riflettere, la nostra fede in Dio non è forse la fiducia che Dio è fedele ai Suoi figli? E la nostra fiducia che Dio ci è fedele non è forse il Suo amore per noi che di ritorno si riflette su di Lui?

Una sera di alcuni anni fa (quella stessa in cui sbottai: «Facile a dirsi per Gesù»), incominciai ad apprendere appieno quest'ultimo punto.

Ero diventata una sincera studiosa della Scienza Cristiana, amavo ciò che stavo imparando nei miei studi su Dio e mi sforzavo di metterlo in pratica. La nostra famiglia aveva avuto parecchie guarigioni grazie alla preghiera. Ma poi mi ammalai gravemente: febbre, debolezza, dolore al petto e attacchi di tosse che non si fermavano. Sentii per caso il vicino, un medico, alla porta d’ingresso al piano di sotto dire a mio marito: «Tua moglie dovrebbe essere in ospedale. Potrei sbagliarmi, ma direi che è una polmonite».

Poco dopo mio marito venne su a vedere come stavo. Si capiva che era preoccupato. Mi disse che se il giorno dopo non fossi stata meglio mi avrebbe portata dal medico. Non studiava ancora la Scienza Cristiana e, sebbene rispettasse la mia scelta di affidarmi a Dio per la mia salute e il mio benessere, sentivo la pressione di "farla funzionare".

Per quanto possa ora sembrare ridicolo, sentivo in qualche modo di avere circa dodici ore di studio "serrato", per arrivare a conoscere tutto quello che c'era da sapere su Dio in modo da raggiungere quell'aspettativa e quella fede (come se fossero "là fuori") che mi permettessero di guarire. Ed eccomi lì, con i miei libri sparsi per tutto il letto: la mia Bibbia, Scienza e Salute, gli altri scritti di Mary Baker Eddy e le concordanze. Sarebbe stata una notte impegnativa! Dopo essere passata da un libro all'altro, come se cercassi un ago in un pagliaio, sentii il forte desiderio di sentirmi semplicemente vicina a Dio. La Bibbia era aperta e notai questa preghiera di Geremia: «Guariscimi, o Eterno, e sarò guarito; salvami e sarò salvato, perché tu sei la mia lode» (Geremia 17:14).

«Se solo fosse così semplice» fu il mio primo pensiero, la scartai e tornai a “sgobbare”. Ma la preghiera di Geremia continuava a tornarmi in mente. Si rivelò che proveniva direttamente da Dio. Finalmente abbandonai la mia disperata ricerca e cominciai a ponderare la preziosa richiesta di Geremia. Più che una supplica, secondo me era una preghiera per sentirsi vicino a Dio. Era:

• Una preghiera di aspettativa: Geremia si aspettava che Dio fosse Dio, l’onnipotenza! Sapeva di non essere affatto responsabile che l'onnipotenza s'esprimesse come tale.

• Una preghiera di convinzione: la convinzione che Dio è l'unica causa, l'unico controllore, l'unica Mente.

• Una preghiera di certezza: là non v'è alcunché di cui dubitare.

• Una preghiera di affermazione della sua inseparabilità da Dio: il riconoscimento che nulla poteva separarlo da ciò che Dio dona.

• Una preghiera di comprensione: sapere che Dio è tutto il bene, è Tutto, e ce lo farà capire chiaramente.

Quale purezza e semplicità! Eppure profonda, ricca e piena d'amore per Dio. A quel punto compresi che la chiave della sua aspettativa era quell'ultima frase: «perché tu sei la mia lode». La preoccupazione di Geremia non era dalla parte del «quanto è grande la mia necessità?», ma piuttosto dalla parte del «quanto è grande il mio Dio!». Era pregno di ciò che sapeva dell'amore sempre presente e senza riserve di Dio. Là non v'era spazio per la paura o il dubbio. Non c'è da stupirsi che fosse gioioso e ricco di aspettative!

Proprio in quel momento mi venne in mente un altro passo della Bibbia: «"Poiché io conosco i pensieri che ho in mente per voi", dice l'Eterno, "pensieri di pace e non di male, per darvi un futuro e una speranza"» (Geremia 29:11). Ma certo! Dio ci avrebbe dato tutti i pensieri necessari per aspettarci ed avere una guarigione completa. Questo corrispondeva a ciò che sentivo di sapere, di sapere veramente, di Dio: che Egli è Amore.

Per il resto della notte, fino a quando non m'addormentai, continuarono a tornarmi in mente uno dopo l'altro i ricordi della mia vita dall'infanzia al presente, in cui avevo percepito l'amore protettivo e guaritore di Dio, che mi guidava. Non credo di aver avuto un solo pensiero che mi allontanasse dall'Amore – quell'attributo di Dio – nemmeno per un istante. Alla fine, sentendomi molto amata, mi addormentai.

Al mattino stavo decisamente meglio. La febbre era scomparsa, avevo energia e riuscivo a parlare senza tossire. Nel giro di un paio di giorni ero completamente guarita. Per quanto fossi grata per la guarigione fisica (come anche mio marito), la crescita spirituale fu una benedizione ancora più grande.

Questa è stata una lezione profonda in merito al consiglio delle Scritture: «…chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che egli è il rimuneratore di quelli che lo cercano» (Ebrei 11:6). Lo cercai con assiduità e il Suo amore per me dissolse ogni senso di disperazione, dubbio, paura e falso senso di responsabilità, finché non rimase altro che un dolce e fiducioso senso del grande amore e della fedeltà di Dio verso i Suoi figli. nei miei studi

La missione de l’Araldo

L’Araldo della Scienza Cristiana fu fondato nel 1903 da Mary Baker Eddy. Il suo scopo è di “proclamare l’attività e la disponibilità universali della Verità”. La definizione di “araldo”, come indicata in un dizionario: “colui che avverte — un messaggero mandato avanti per annunciare l’approssimarsi di ciò che segue”, dà un significato particolare al nome Araldo ed inoltre indica il nostro dovere, il dovere di ognuno di noi, di vedere che i nostri Araldi assolvano alla loro responsabilità, una responsabilità inseparabile dal Cristo e annunciata per la prima volta da Gesù (Marco 16:15): “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura”.

Mary Sands Lee, Christian Science Sentinel, 7 luglio 1956

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