Da che cosa è determinata la nostra salute? Cosa la compromette? Queste domande hanno catalizzato l'attenzione di chi si occupa di salute fin dai tempi antichi. Oggi assistiamo a una ripresa dell'interesse per le influenze mentali sulla salute. Per esempio, recentemente ho trovato affascinante un libro intitolato: «Perché le persone si ammalano: studio sulla connessione mente-corpo» di Darian Leader e David Corfield. Questo testo studia il tema, già lungamente dibattuto nell'ambito della sanità, dei fattori mentali che influenzano la salute individuale. Ricordo di aver letto che quando a Louis Pasteur, considerato il padre della medicina moderna, venne chiesto perché uno stesso medicinale potesse avere effetti diversi sui pazienti, egli fece notare come ciò avesse a che vedere con il «terreno» del paziente, ovvero la sua prospettiva mentale. Mary Baker Eddy, scopritrice della Scienza Cristiana, visse all'epoca di Pasteur e, attraverso la propria pratica della guarigione spirituale, studiò a fondo le influenze mentali che migliorano o peggiorano la salute. Comprese che la coscienza spirituale, cioè la consapevolezza di Dio e della Sua natura completamente buona, stabilisce la salute, mentre fattori come paura ed egoismo compromettono il senso spirituale e di conseguenza la salute. La scoperta della Scienza Cristiana mostra come la salute sia sempre in relazione con la crescita della nostra comprensione della natura divina e con il nostro impegno a vivere coerentemente le qualità che riflettiamo naturalmente e che provengono da questo Dio amorevole e pieno di bontà. Comprendere la nostra identità spirituale come espressione dell'essere di Dio può portare ad una trasformazione sorprendente. Di tale trasformazione non beneficiamo solo noi stessi, ma anche tutti coloro che teniamo nei nostri pensieri, come scoprì mia nonna anni or sono.
Una nuova prospettiva
Agli albori del ventesimo secolo, mia nonna, che desiderava aiutare il più possibile il prossimo, cominciò a studiare un nuovo libro che aveva visto nella vetrina di una sala di lettura nella zona in cui era solita fare la spesa. Non avendo a disposizione molti soldi, non era in grado di acquistare il libro, ma ogni giorno, una volta fatta la spesa, si fermava a leggerne qualche pagina. Il libro rispondeva alle sue speranze e ai suoi desideri di una vita più appagante, e rispondeva a molte delle domande che aveva accumulato con il suo fervente studio della Bibbia. Ogni giorno rientrava a casa entusiasta e desiderosa di condividere ciò che aveva appreso. Tuttavia, nessuno in casa sembrava particolarmente interessato ad ascoltarla. Ogni pomeriggio usciva a stendere il bucato per poi ripiegarlo con cura. Nella casa accanto, viveva un bambino che veniva regolarmente messo in giardin in un box a prendere aria fresca. Il suo aspetto e la sua incapacità di comunicare attirarono l'attenzione di mia nonna (in seguito venne a sapere che il bambino era nato così). Non trovando all'interno della casa un pubblico interessato ad ascoltare ciò che aveva appreso da Scienza e Salute, mia nonna si rivolse dunque a chi non poteva fare a meno di ascoltarla. Spiegò al piccolo ciò che stava apprendendo sulla natura completamente buona di Dio e che anche lui, in quanto immagine e somiglianza di Dio, la esprimeva per diritto divino.
I giorni passarono. Un tardo pomeriggio, poco prima che mia nonna avesse praticamente finito di leggere Scienza e Salute, la madre del bambino bussò alla sua porta. Le chiese di che cosa avesse parlato con il figlio. Mia nonna le disse che aveva scoperto un magnifico libro intitolato Scienza e Salute con Chiave delle Scritture scritto da una donna di nome Mary Baker Eddy, la scopritrice della Scienza Cristiana. Raccontò alla donna di non conoscere molto della Scienza Cristiana, ma di sapere che Mary Baker Eddy era una guaritrice di successo e che aveva scritto un libro basato sugli insegnamenti delle Scritture che spiegava come guarire. Secondo mia nonna, dapprima la madre rimase in silenzio, poi disse che qualsiasi cosa stesse imparando da quel libro, funzionava, perchè le condizioni del figlio stavano migliorando. Sempre secondo la storia raccontata da mia nonna, nel giro di circa tre mesi il bambino non presentava più alcun sintomo di malattia.
Cosa aveva messo mia nonna in grado di guarire quel bambino? Direi che fu il rivoluzionario cambiamento di pensiero ovvero quel «terreno» mentale derivato dallo studio del libro. La lettura di Scienza e Salute le aveva fornito una prospettiva più ampia su Dio, portandola ad intuire il fatto che tanto lei quanto il bambino avevano la possibilità di fare esperienza di qualcosa di meglio della loro situazione attuale. In un certo senso, mia nonna si liberò dalle teorie e dalle credenze limitatrici dei sensi fisici e vide possibilità infinite per quel piccolo. Egli poteva guarire. Mia nonna doveva aver compreso con chiarezza che l'identità del bambino era interamente spirituale, definita e formata dall'Amor divino e che perciò non poteva essere toccata dalla malattia. Egli non poteva essere vittima delle teorie genetiche umane. La sua prospettiva spiritualizzata, la sua nuova comprensione del sé e le conseguenze che questa maggior comprensione determina sulla nostra vita ebbero un effetto salutare non solo su di lei, ma anche sul bambino.
Ostacoli alla salute
Tuttavia se non siamo desiderosi, come lo era mia nonna, di disfarci di un falso senso di sé, o identità, la nostra guarigione può venirne ostacolata. Si pensi al seguente passaggio di Scienza e Salute: «L'amore di sé è più opaco di un corpo solido. In paziente obbedienza a un Dio paziente, lavoriamo a dissolvere con il solvente universale dell'Amore la durezza adamantina dell'errore - l'ostinazione, l'autogiustificazione e l'amore di sé - che lotta contro la spiritualità e che è la legge del peccato e della morte» (pag. 242).
Il diamante è una pietra o minerale considerato di durezza impenetrabile, e l'autrice intende dirci che un pensiero centrato su se stessi o un ostinato amore di sé impedisce al messaggio guaritore del Cristo di penetrare nel pensiero. Bisogna tuttavia notare che l'autrice non etichetta le persone con tale pensiero. Piuttosto, sembra dire che l'ostinazione, l'autogiustificazione e l'amore di sé appartengono al pensiero erroneo stesso, ovvero costituiscono l'adamantino dell'errore. Sarebbe utile ricordare che le persone sono più spesso vittime che creatrici di queste false inclinazioni, e coloro che praticano sinceramente la guarigione tramite la Scienza Cristiana non attribuiscono tali inclinazioni alle persone così come non lo fanno con la malattia. Questi diamanti, quindi, appartengono al pensiero mortale (cioè a modelli di pensiero basati sulla materia). Nondimeno queste inclinazioni devono essere affrontate e distrutte nel pensiero per liberarci dai loro dolorosi effetti. Fortunatamente disponiamo di molti esempi di persone che hanno dissolto l'adamantino dell'ostinazione, dell'autogiustificazione e dell'amore di sé.
Naaman vinse la propria ostinazione
La Bibbia narra la storia di Naaman, valoroso soldato e capitano dell'esercito della Siria, lebbroso (vedi II Re 5:1-14). Nel corso delle sue imprese, condusse in Siria una serva ebrea. Essa suggerì alla moglie di Naaman che il marito andasse a trovare il profeta Eliseo poiché costui avrebbe potuto guarire Naaman dalla lebbra. Naaman seguì il consiglio e si recò in Samaria alla ricerca del profeta. Quando lo trovò, Eliseo gli mandò un servo a dire di immergersi sette volte nel fiume Giordano. Inizialmente Naaman si ribellò a tale ordine, offeso per non essere stato incontrato personalmente, vista la sua importanza, e per la richiesta di immergersi nel fangoso Giordano piuttosto che nel più limpido fiume di Damasco. Per questi motivi, rifiutò l'ordine del profeta. I servi di Naaman, allora, gli suggerirono di soggiogare la sua ostinazione e seguire le direttive di Eliseo. Finalmente Naaman si decise ad obbedire e guarì dalla lebbra.
Quante volte l'ostinazione ostacola la guarigione! Possiamo essere talmente convinti di sapere come qualcosa debba funzionare, da perdere di vista le reali istruzioni che conducono alla guarigione. Da cosa fu veramente guarito Naaman: dalla lebbra o dalla più profonda questione morale della sua ostinazione? Ovviamente a Naaman era richiesto di sottomettersi alla volontà di Dio, qui rappresentata dal profeta. Naaman doveva provare il desiderio di distogliersi dall'orgoglio del potere e dell'intelletto, dal ragionamento e dalle analisi umane, e aprirsi alla semplicità della direzione divina.
Oggi, la domanda pressante è: che cosa ci guarirà dai nostri vari problemi economici, fisici e sociali? Contrariamente alla cultura corrente, che incoraggia autogratificazioni istantanee chiedendoci poco in cambio, la Bibbia insegna che la guarigione spirituale richiede crescita spirituale, redenzione di carattere e il desiderio sincero di mettersi in linea con il Divino. Come nella storia di Naaman, la domanda è: desideriamo di cuore di immergerci nel fiume dell'ispirazione biblica?
Guarigione dall'autogiustificazione
Secoli dopo le immersioni di Naaman nel Giordano, un altro uomo, zoppo dalla nascita, sedeva presso una vasca, giorno dopo giorno, sperando di guarire dalla sua infermità (vedi Giov. 5:2-9). Non si conosce il nome di quest'uomo che aspettava il muoversi delle acque della vasca di Betesda perchè, secondo la leggenda, quando le acque venivano agitate da un angelo, il primo che scendeva nell'acqua sarebbe stato guarito da qualunque infermità fosse colpito. La storia racconta che l'uomo era paralizzato ai piedi, perciò vi era sempre chi arrivava a tuffarsi prima di lui. Evidentemente ci stava provando da lungo tempo. Tuttavia la sua non era una questione logistica. Quando Gesù lo incontrò, gli pose una domanda per metterlo alla prova: «Vuoi esser risanato?». Per chiunque sia stato paralizzato per 38 anni, una tale domanda sarebbe potuta sembrare incomprensibile. Gesù però non chiese: “Vuoi guarire dalla paralisi?” ma piuttosto “Sei pronto ad essere risanato in ogni senso? Non solo fisicamente, ma anche moralmente?”
Se Gesù facesse a noi la stessa domanda, come risponderemmo? Attenzione: è più facile dire che vogliamo ascoltare le richieste di Gesù - i messaggi di Dio a ognuno di noi - che metterle in pratica. Chi di noi non ha detto più volte di voler essere e di voler fare meglio per poi trovare il tutto troppo difficile? Di solito questo è il punto in cui entra in gioco l'autogiustificazione. C'è sempre qualche ragione pronta ad impedirci di seguire le richieste. Per l'uomo alla vasca di Betesda il problema era che non aveva nessuno che lo aiutasse ad entrare in acqua, perciò gli mancavano l'occasione e il tempo. Gesù, invece, non badò ai ragionamenti materiali e disse: «Lèvati, prendi il tuo lettuccio, e cammina». E l'uomo obbedì.
Amore di sé rivelato
Gesù raccontò due parabole che evidenziano gli ostacoli che l'amore di sé interpone al raggiungimento della salute e della felicità. La prima descrive due uomini, un pubblicano e un Fariseo, che andarono a pregare al tempio (Luca 18:9-14). Il pubblicano pregò con umiltà e quale fu la ricompensa? Gesù disse che sarebbe stato «innalzato». Invece il Fariseo pregò dicendo: «O Dio, ti ringrazio ch'io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; né pure come quel pubblicano». Quell'uomo, disse Gesù, sarebbe stato «abbassato». Quanto è semplice ricadere nel genere di preghiera del Fariseo! La difficoltà di questo tipo di amore di sé, che si vanta di essere migliore degli altri, è che presto sorge la domanda: «Questa fedeltà e questo buon comportamento hanno realmente fatto del bene? Sono stati ripagati?» Può poi affiorare un altro tipo di paragone: «Guarda quell'uomo: non è particolarmente intelligente e guarda quanto successo ha (o benessere, o popolarità, o salute)!». Potremmo non renderci conto che si tratta di un amore di sé sottile, che si vuol dar ragione.
Si pensi anche alla parabola di Gesù del figliuol prodigo. Comincia con: «Un uomo avea due figliuoli…» (Luca 15:11-32). Spesso dimentichiamo la lezione del figlio maggiore che rimase a casa e lavorò con senso del dovere per il padre, mentre il figlio minore prelevò e sperperò la sua parte di eredità. Spesso si pensa che il contrasto in questa parabola sia costituito dai peccatori da una parte (il figlio minore) e i Farisei dall'altra - avvocati a favore del dogma religioso (figlio maggiore). La lealtà del figlio maggiore si trasforma presto in gelosia nei confronti del fratello minore quando il rientro ne viene festeggiato, così il maggiore dà ragione a se stesso per essere rimasto mentre l'ostinato fratello minore sperperava i suoi beni. Il fratello fedele indulge nell'autocommiserazione perchè non era mai stata fatta una festa in suo onore con gli amici. In questa parabola il padre fa breccia nell'autocommiserazione del figlio maggiore, concentrato su se stesso, rammentandogli con gran tenerezza: «Figliuolo, tu sei sempre meco, ed ogni mia cosa è tua». Anche noi non dovremmo mai dimenticare questa promessa.
Essa, di natura metaforica, è la promessa di Dio a noi tutti. Ci spiega che Dio è sempre con noi, che ci sostiene e ci mantiene sempre. Questa promessa ci dice che possiamo liberarci da ogni falso senso di un «io» mortale e vulnerabile, ed essere consapevoli di essere - e di essere sempre stati - i figli e le figlie di Dio.