Quando ci sposammo, io avevo 19 anni e mio marito 24. Lui viveva da solo da quando ne aveva 17. Io non avevo mai vissuto da sola in vita mia e così lo seguivo come un cucciolo. Era il 1942. Passarono quasi 30 anni prima che il suo lavoro ci separasse per la prima volta.
Mi disse che sarebbe stato via per circa un anno e che sarebbe tornato a casa ogni due settimane. Io non ero preoccupata perché, anche se era un uomo molto attraente, sentivo di conoscerlo veramente bene ed ero certa che la sua onestà e la sua integrità fossero ineccepibili. Oltre tutto, era stato anche molto esplicito in merito agli uomini che tradivano le proprie mogli.
Tuttavia, nel giro di poco tempo le nostre conversazioni telefoniche diventarono sempre più brevi e sempre meno comunicative. Mi spiegò che era solo a causa delle 12-14 ore di lavoro giornaliere e del lavoro molto impegnativo. Al termine di questo progetto però, quando tornò a casa, non era più l’uomo che era prima di partire. Continuavo a chiedergli «che problema c’è?» e lui mi rispondeva «niente, è stato solamente un periodo difficile per me».
Un giorno, pregando, chiesi a Dio di mostrarmi quello che avevo bisogno di sapere. Mi venne in mente di chiedere a mio marito se avesse una relazione con un’altra donna. È stato come se si fosse liberato da un peso enorme. Mi disse «non sapevo come parlartene». Sì, aveva conosciuto una donna. «Penso di essermi innamorato di lei» aggiunse.
Ero devastata. Non sapevo assolutamente come gestire questa situazione eccetto che con la preghiera. Mia madre lavorava sin da quando ero bambina e mio padre era incline al gioco d’azzardo, così la mia meravigliosa bisnonna e sua sorella mi avevano cresciuta. La mia bisnonna studiava la Bibbia con devozione (viveva quello che imparava, quello che Gesù insegnava) e mi aveva trasmesso il suo entusiasmo. Mi diceva sempre «Dio è il tuo miglior amico. Puoi rivolgerti a Dio sempre e ovunque tu sia, ». Diceva anche «Lui ti sorveglia e se fai qualcosa di sbagliato, ti ama troppo per lasciarti allo sbando”. Così, pregando, mi venne il pensiero «Io so che Dio mi governa e dirige e sostiene sempre. Anche questa situazione deve essere per forza sotto la direzione di Dio. Devo lasciarLo fare».
Trovai pace in quel momento.
Ma quando vidi mio marito andarsene il sabato mattina, sapendo che andava a passare il fine settimana con quell’altra donna, la rabbia mi sopraffece. Sapevo bene che emozioni come il risentimento, la rabbia, la frustrazione e la gelosia avevano impatto solo su me stessa, ma non sapevo in quale altro modo reagire. Quasi immediatamente mi venne alla mente il pensiero «se questa donna desidera portare via il marito a sua moglie ed il padre ai suoi figli, il suo problema è senz’altro maggiore del tuo. Devi amarla. Devi pregare per lei perché, in verità, è tua sorella». In tutta onestà, era come se queste parole fossero scolpite nella pietra nella mia coscienza. E da chi altro poteva provenire questo pensiero se non da Dio? Chi altro mi aveva preparata a pensare «ama questa donna»? Di sicuro non è ciò che il mondo ci insegna.
Realizzai che non dovevo indagare su cosa ci fosse tra loro due. Dio non mi avrebbe mai abbandonata. Aveva sicuramente qualcosa di buono da parte anche per me. Ricordai un passaggio che avevo letto a proposito di un marinaio che resisteva alla tempesta. È nel capitolo «Matrimonio» di Scienza e Salute (pag. 67): «Sperando e operando, dovremmo aggrapparci al relitto, finché una propulsione irresistibile non precipiti la nostra distruzione o il sole non venga a rallegrare il mare agitato». Sentivo che Dio era con me e che mi amava, così questo non era il mio funesto destino. Ero in un mare agitato ma dovevo aspettare che arrivasse la calma, quel senso di meravigliosa e divina protezione.
La pace che avevo trovato continuò per un po’. Poi, circa due settimane più tardi, ero di nuovo sconvolta e pensai di non poter più andare avanti così.
Alle due di notte, mi infilai in auto decisa a lanciarmi contro i piloni di una sopraelevata e farla finita. Raggiunsi i 180km all’ora, ma in un attimo di quiete intima, udii un «suono dolce e sommesso» che mi suggeriva «lei merita di più di questo». Lasciai l’acceleratore domandandomi «cosa significa?».
Dopo essermi accostata per ascoltare, la risposta tornò ancora «lei merita di più di questo». (Interpretai per «lei» la nostra figlia più giovane, che allora aveva 13 anni). Pensai «quando verrà travolta da qualcosa di più grande di lei, il tuo esempio le suggerirà che togliersi la vita è la risposta!».
Quando tornai a casa, mio marito era lì ad aspettarmi. Gli dissi che ero stata lì lì per togliermi la vita. Mi abbracciò e mi disse «sono contento che tu non l’abbia fatto».
Mi dissi che non dovevo chiudere nessuna porta. Avrei solo fatto quello che avessi percepito come ispirazione spirituale e l’unica cosa che percepivo di dover fare era di amare. La Bibbia dice «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole» (Romani 13:8). E Gesù disse nel Sermone sul Monte «Non giudicate, per non essere giudicati» (Matteo 7:1). Sapevo che non volevo essere giudicata per il modo in cui mi comportavo nella vita.
Con queste preghiere, e con le Sue risposte, Dio mi sostenne e mi spinse ad andare avanti, nonostante fosse un viaggio faticoso. La settimana seguente pensavo di avere il controllo della situazione. Poi, un giorno, sola in casa, mi ritrovai accucciata dietro ad una sedia, in preda ad un pianto dirotto. Pregavo «Padre, ho bisogno di aiuto immediatamente» e trovai un senso di pace. Due giorni dopo, ero di nuovo in lacrime in un angolo della camera, dietro alla porta, come se volessi nascondermi. Venne questa tentazione: «beh, puoi andar fuori di testa, è una via di uscita anche questa».
«Assolutamente no», mi risposi, «non farò questo a me stessa». E quella fu la fine di questo impulso.
Capii tuttavia che avevo bisogno di stare un po’ per conto mio. Gesù disse che per pregare, abbiamo bisogno di andare nella nostra cameretta, ed io sapevo che avevo bisogno di un posto così. Chiamai degli amici che vivevano in un’altra parte del Paese e che erano pronti ad offrirmi ospitalità per tutto il tempo che avessi voluto. Lasciai i miei figli con mia madre, che abitava vicino a noi; presi l’aereo e rimasi dai miei amici per un mese.
Mary Baker Eddy scrisse «In ogni momento e in tutte le circostanze, vinci il male col bene. Conosci te stesso, e Dio ti darà la saggezza e l’occasione di riportare una vittoria sul male. Se sarai rivestito della panoplia dell’Amore, l’odio umano non potrà raggiungerti.» (Scienza e Salute, pag. 571). Sentii che avevo un profondo bisogno di conoscere me stessa come non avevo mai fatto prima. E conoscendo me stessa, sapevo che avrei avuto maggior fiducia in Dio e riconosciuto che Egli aveva previsto per me il bene.
Durante quel periodo lontana da casa, passai molto tempo in tranquilla preghiera e ritornai in me. Sapevo che potevo fare a questo punto tutto ciò che mi era necessario fare. Nel frattempo, mio marito era andato ad abitare da solo, nonostante non vedesse più l’altra donna. Tuttavia, quando tornai a casa, mi chiese di andare insieme da un avvocato. Ci rivolgemmo ad uno che era anche nostro amico e mentre mio marito parlava con lui, io parlavo con la moglie. Dopo averle raccontato i mie problemi, lei mi disse «beh, anche i miei genitori un giorno intrapresero questa strada, e mia madre era una Scientista Cristiana. Mio padre un giorno tornò a casa e da allora hanno passato molti anni insieme, felici».
Quelle parole furono per me come una luce nel buio.
Presto mio marito ripartì per un altro lungo progetto di lavoro e tralasciammo le pratiche di divorzio. Nel frattempo, fui eletta Lettrice nella chiesa filiale della Scienza Cristiana che frequentavo, ed il tempo che passai studiando la Bibbia e Scienza e Salute nel preparare i nostri servizi, mi accompagnò nel corso dei tre anni seguenti.
Decisi che non avrei chiesto io il divorzio, ma che avrei lasciato fare il primo passo a mio marito, se questa doveva essere la soluzione. Considerai molto seriamente la mia promessa di matrimonio, l’idea di amare e rispettare qualcun altro «nel bene e nel male, in salute e in malattia», e che Dio non mi stava certo suggerendo di rompere tale promessa.
Col tempo, mio marito ed io diventammo molto più amici di quanto non lo fossimo mai stati prima. Parlava molto onestamente con me. Durante questo lungo periodo non abbandonò mai la famiglia e non ci fece mai mancare il suo sostegno economico. Ma sapevo anche che continuava a uscire con altre donne. Ad un certo punto mi disse anche che era dispiaciuto per loro perché vedeva il loro bisogno di una compagnia maschile. Mi spiegò che non aveva neanche bisogno di togliersi la vera dal dito: il fatto che fosse sposato non sembrava fare alcuna differenza.
Continuavo a pregare e tornavo all’ispirazione originaria «il loro problema è più grande del tuo. Devi amarle e pregare per loro». Ma fui anche onesta con mio marito e gli dissi che ritenevo che le sue azioni non fossero né giuste né corrette.
Dopo che ebbi terminato il mio incarico di Lettrice, decisi di seguirlo nei suoi viaggi di lavoro. Anche allora, continuava ad avere relazioni con altre donne. Alla fine, arrivai ad un punto decisivo. Gli dissi «ora è finita. Sei libero di fare quello che vuoi, di vivere la tua vita come vuoi; io non ne faccio più parte».
Feci le valigie e me ne tornai a casa. L’avvocato a cui mi rivolsi mi disse che secondo lui non vi era modo di cambiare un uomo che avesse intrapreso questa strada.
Tuttavia, quando mio marito seppe di questo incontro, mi chiese di posporre il divorzio per fare insieme un viaggio che avevamo previsto in precedenza. Acconsentii.
Quel viaggio si rivelò il giro di boa. Mi sentivo in pace e constatai che la preghiera sincera di tanti anni non era stata vana. Mio marito era nuovamente quell’uomo del quale mi ero innamorata da giovane: dolce, caro e amorevole. Il modo in cui si comportò durante il viaggio mi mostrò che in realtà desiderava che rimanessimo sposati. Quando tornammo a casa, decisi di rimanere con lui. E quella fu la fine dei suoi rapporti clandestini. Non ce ne furono più. Andava ancora in viaggio per lavoro, ma mi chiamava spesso e faceva di tutto per tornare a casa appena possibile e rimanerci.
Sono passati altri 27 anni da quegli otto passati «nel deserto». Siamo felici e lui è il mio miglior amico. Ho imparato che una coppia è composta di due individui completi, interi, nessuno dei due dipendente dall’altro per essere completo. Ho imparato che bisogna amare così tanto da non sentirsi offesi da nulla. E anche quando l’offesa è intenzionale, si può lasciare il problema dove è iniziato – con chi ne è coinvolto. Quando si ama, lo si sente dentro di noi, e questo rimuove gli ostacoli e porta una risoluzione soddisfacente